Cessate d'uccidere i morti... Nei miei ricordi d’infanzia il Cimitero era legato ad un avvenimento festoso. Il 1° novembre mi avviavo di buon’ora insieme a mio padre lungo la cupa degli spiriti, la strada sterrata che, costeggiando il canalone dove fluivano le acque dell’alveo Marotta, conduceva dallo stadio “Piccirillo” al Camposanto. Era il giorno dedicato a rinnovare quel legame profondo tra noi e i nostri cari che ci proteggevano dall’al di là.
Il viottolo era animato da una miriade multicolore di improvvisati venditori di lumini di ogni dimensione e di crisantemi, stipati in grossi secchi d’acqua. Ad essi si accompagnavano i venditori di sovere (sorbe), vendute a mazzetti con foglie e rami, di colore giallo e rosso, che venivano portate a casa e lasciate maturare fino a quando non diventavano di colore scuro e dolcissime, ‘prete 'e zucchero” come le definisce Eduardo nella commedia “Le voci di dentro”. E insieme a loro c’erano i venditori di granate (melograni) e di lignesante, i kaki vaniglia tipici napoletani, che prendevano il nome da quella parte di color bianco contenuta nel seme, simile ad un Cristo in croce. Una sequela di poveri che cercavano l’elemosina completava l’ininterrotta fila di persone sistemata ai bordi del cammino, che ringraziavano per l’offerta con un “frisc’all’anema e tutti i muorte vuoste”. Il piazzale del Cimitero brulicava di gente abbracciata a fasci di fiori, per lo più garofani e crisantemi. Improvvisati parcheggiatori regolavano il traffico. Michele era specializzato in biciclette e motocicli: aveva legato delle corde da un albero all’altro alle quali poggiava i manubri. Legava ad ogni automezzo un numeretto in legno, dando la contromarca ai proprietari. Qualche curioso sostava sui gradini dell’ingresso principale in attesa delle personalità che dovevano arrivare in visita, primo fra tutti il ministro Giacinto Bosco che, immancabilmente come ogni anno, si recava in raccoglimento nella cappella di famiglia dove era sepolto anche lo zio Raffaele Perla che era stato Presidente del Consiglio di Stato. Mia nonna si istallava al mattino presso la tomba di mio nonno, morto nel 1942, di cui porto il nome, armata di sediolina e di corona per il rosario, e di tutto l’armamentario per ripulire la lapide. Una piccola scopa e altri attrezzi erano nascosti all’interno della siepe di mortella che adornava il loculo, situato comodamente in prima fila su uno dei lati esterni della Cappella di S. Vincenzo Ferreri. La permanenza di mia nonna e di tanto visitatori durava fino al tramonto quando la campana annunciava la chiusura dei cancelli Per alleviare le anime del purgatorio circolavano nei viali del cimitero le suore con al seguito una colonna di orfanelle dal volto triste, tutte chiuse in lisi cappottini neri che, a comando e dietro un’offerta recitavano un requiem per le anime dei defunti. Nei viali affollati si muovevano a fatica con una imponente scala gli operari della ditta Cirillo, chiamati a destra e a manca per qualche lampadina difettosa delle croci luminose pendenti in miracoloso equilibrio sulle tombe. Dirigeva le operazioni Mimì Della Valle, storica figura del servizio lampade votive. Il Cimitero era il punto di incontro di una intera Comunità, di chi era rimasto in Città e di chi, per vari motivi, aveva dovuto emigrare. Tutti avevano un fiore da deporre, una preghiera da recitare. Perfino il recinto dei Polacchi brillava dei lumini che mani pietose avevano deposto sulle croci di questi stranieri. Cappelle e viali erano in un ordine perfetto. Non una croce fuori posto, non un rifiuto abbandonato, una kermesse per l’orgoglio dei vivi e dei morti. Non c’era posto per la tristezza. E al ritorno dal Cimitero, una sosta d’obbligo dal buon Luigi De Biase per comprare un pezzetto di “torrone dei morti”. ……………. Oggi sono tornato in visita nel cimitero monumentale dal quale mancavo da anni. I miei cari hanno trovato sepoltura nell’area di ampliamento del Cimitero che ha un suo ingresso attraverso il quale si evita di passare per l’entrata principale e quindi, di attraversare il vecchio cimitero. Sono tornato per completare con le immagini la descrizione del patrimonio racchiuso nel Cimitero monumentale, dei cippi e delle cappelle gentilizie. Purtroppo accanto a belli esempi di edilizia funeraria giacciono i resti di cappelle crollate, di tombe e lapidi devastate. Non è confortante l’immagine che diamo del nostro grado di civiltà se siamo una comunità che tollera, senza indignarsi, lo scempio ed il degrado che sta progressivamente avanzando e che nessun amministratore laico o religioso sembra interessato a fermare. Eppure questo è il luogo delle memorie civiche, un pezzo importante della nostra storia artistica di fine Ottocento, un luogo che una attenta amministrazione comunale dovrebbe far diventare un museo a cielo aperto, promuovendo studi e visite guidate alla scoperta dei vari stili presenti, dei capolavori di pregio nascosti nelle cappelle, delle sepolture di uomini celebri per la storia nostra e quella di Terra di Lavoro. Addentrandoci nei viali, ripercorriamo la nostra storia: le tombe dei garibaldini Nicandro Staro e Gaetano Cecio e quella del luogotenente Antonio Certosini morto sotto le mura di Capua ricordano le battaglie combattute per l’unità d’Italia; e insieme a loro quelle del soldato Luigi Fosso morto nella 1^ guerra mondiale, del cap. Mario Zincone morto nel siluramento del Conte Rosso nel corso della 2^ guerra mondiale, di Giuseppe Castaldo, morto combattendo contro i tedeschi in ritirata. Qui riposano nel sonno dell’eternità quelli che hanno fatto la storia artistica, culturale ed amministrativa di questa Citta, come lo scultore Raffaele Uccella, Vito Nicola Melorio, Raffaele Perla e tantissimi altri. Le tombe non hanno alcuna utilità per i defunti, ma servono a noi, per mantenerne vivo il ricordo e continuare il legame ideale con chi ci ha preceduto, sconfiggendo la morte. Il disinteresse di chi si è proposto come amministratore, che nei fatti dimostra di non aver alcun interesse a mantenere questo legame storico ed umano, sta uccidendo la memoria, sta togliendo a questa Città la sua identità culturale. Dobbiamo forse rassegnarci all’idea che ci vogliono imporre, che conta più per l’immagine di questa Città una sagra del tarallo? Non gridate più
Cessate d'uccidere i morti, non gridate più, non gridate se li volete ancora udire, se sperate di non perire. Hanno l'impercettibile sussurro, non fanno più rumore del crescere dell'erba, lieta dove non passa l'uomo. Giuseppe Ungaretti |